domenica 9 giugno 2013

Per orientarsi tra i concetti...

Qual è il rapporto intercorrente tra tecnica e arte nella nostra società?
E' questo l'argomento fondante del blog, alla cui trattazione sistematica ho riservato un post che indaga le origini delle due suddette parole: tèchne e ars.
Uno dei quadri che considero come icona del blog è  Pioggia, vapore e velocità di William Turner.

La prima parte del blog è dedicata all'analisi del libro Hard times di Charles Dickens, che racconta la nuova società, i nuovi personaggi e i nuovi valori della Rivoluzione industriale in Inghilterra. Ho individuato alcuni aspetti e tematiche che in qualche modo potessero legarsi all'arte: Thomas Gradgrind comparato all'ingegnere modello; il rifiuto dell'arte, nel libro rappresentata dal circo; il luogo in cui si svolge la vicenda, ossia la città delle macchine.
Sempre relativamente a questa sezione, ma che si lega anche con la successiva relativa alla Rivoluzione industriale, ho riservato un post alla Victorian Society, vista dai pittori, e uno al Crystal Palace, simbolo della potenza industriale inglese.

Nella seconda parte, ho cercato di seguire un ordine cronologico, attenendomi ai temi trattati nel corso di Storia della tecnologia di Vittorio Marchis, nel tentativo di citare alcuni dei personaggi, dei movimenti, degli eventi storici che più mi sono sembrati significativi nell'evoluzione dei concetti di arte e di tecnologia. Naturalmente, per la vastità dell'argomento, ho dovuto fare una selezione.

Partendo dai tempi più lontani, ho indagato quale fosse il significato che gli Antichi attribuivano alla parola "macchina", cercandolo nei testi che trattano del Cavallo di Troia, più precisamente in Virgilio e in Petronio.
Al Medioevo ho riservato una parte più ampia: infatti, sebbene venga spesso considerato un periodo buio, è proprio in questi lunghi secoli che si pongono le basi della nostra società, nonché della nostra cultura tecnologica. Mi sono dunque concentrata su figure rilevanti come Villard de Honnecurt, uno dei più antichi fondatori dell'ingegneria, e  Leonardo da Vinci, il primo che osservò la natura "per imitarla"; un post è dedicato all'architettura gotica, il cui elemento più rilevante sono le vetrate. Evento importantissimo nella storia, fu l'invenzione della stampa: a cavallo tra Età di mezzo e Modernità, tanto che secondo alcuni dovrebbe essere considerata come la fine del Medioevo.

Viene poi la parte riguardante eventi e invenzioni a noi più vicine e familiari: partendo dalla Rivoluzione industriale della seconda metà del Settecento, l'evoluzione della tecnologia si fa molto più veloce, e con essa, anche quella dell'arte.
Dopo un digressione sull'arte della seta, e una su  Johann Wolfang von Goethe, che seppe unire, in filosofia e in letteratura, la scienza (in particolar modo, la chimica) all'arte e ai sentimenti, mi sono dedicata a trattare come innovazioni quali il treno, la strada ferrata, e l'automobile siano state percepite dagli artisti dell'epoca. Infine, riferendomi ai grandi eventi del Novecento, ho creato un post su un diverso modo di concepire la guerra, uno su  consumismo e Pop Art in America e uno sul boom economico italiano.

Per una lettura trasversale, i movimenti citati all'interno del blog sono: Romanticismo, Impressionismo, Futurismo, Cubismo, Pittura metafisica, Dadaismo, Pop Art .

Un altro modo di spaziare tra gli argomenti del blog è l'abbecedario.

Buona navigazione!

Un abbecedario degli argomenti del blog

Selezionando gli argomenti, collocati in ordine alfabetico, si può vedere dove ognuno di essi è stato citato all'inteno del blog Tecnologia e arte.

Antichità   Armi   Automobile
E   Etimologia
G  Goethe   Gotico   Guerra
M  Macchina   Medioevo   Miniatura   Modernità  
N  Natura
O 
Q  Quadro
U 
Z

sabato 8 giugno 2013

L'arte del Boom economico in Italia

Con Boom economico si intende il periodo di grande espansione dell'economia italiana negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, seguita a quella americana. Esso provocò una grande trasformazione nella società rispetto a prima della Seconda guerra mondiale: nacque la società dei consumi, che ci caratterizza ancora oggi.
Ho già parlato di come l'arte interpretò questo cambiamento in America, nel post sulla Pop Art e Andy Warhol; voglio ora mostrare quale fu la reazione degli artisti in Italia.
Naturalmente, bisogna considerare che il nostro Paese, dal punto di vista economico, è una sorta di appendice degli Usa, soprattutto negli anni del dopoguerra, quando gli aiuti americani stimolarono la rinascita della nostra industria.

Uno degli artisti che più si avvicinarono all'ambiente della neonata società dei consumi fu Piero Manzoni.
Piero Manzoni, Achrome (Panini), 1961.
Il percorso di questo artista fu volto da un lato a dissacrare la tipologia romantica dell'artista geniale, che sa capire i lati nascosti delle cose, a differenza della gente comune, e dall'altro a mettere in luce la nuova mitologia collettiva del "consumo, dunque sono", per citare un titolo di Bauman Zygmunt.
Una sua frase famosa è:
Nascere, esistere, respirare, pesare, insomma essere.


Piero Manzoni, Merda d'artista, 1961.

Ritengo che una della sue opere più significative sia Merda d'artista: si tratta di una seri di confezioni simili a quella della carne in scatola, che proprio allora cominciavano a circolare anche in Italia. Ciascuna di esse reca una scritta in più lingue: "Contenuto netto gr.30. Conservata al naturale. Prodotta e inscatolata nel maggio 1961."
Secondo l'intenzione di Manzoni, la scatola doveva essere venduta a un prezzo equivalente a 30 grammi d'oro, per richiamare l'equivalenza tra sterco e denaro; l'artista indirizza il suo atteggiamento irrisorio contro il feticismo del collezionista e contro una mitizzazione romantica dell'opera. In quegli anni il mercato dell'arte prosperava come mai prima, grazie al boom economico, e i mercati sollecitavano continuamente gli artisti a produrre opere connotate da false mitologie, affezionati più alla speculazione che al valore espressivo  e culturale della creazione. Questa scatola rappresenta la massima dissacrazione della figura dell'artista, che diventa un prodotto da vendere in scatola, come un oggetto industriale, esattamente come volevano i mercati dell'arte.
Manzoni anticipò così la rivolta contro il consumismo che sarebbe poi arrivata in Italia nei tardi anni Sessanta.

venerdì 7 giugno 2013

Pop Art: l'arte del consumo

Dagli anni '60, negli Stati Uniti, in pieno espansione economica, si fece strada una nuova corrente, la Pop Art, il cui padre può essere considerato Andy Warhol.
Era questo l'inizio dell'era dei consumi, della società di massa, dove il sorgere di supermercati ed elettrodomestici iniziava ad essere pratica comune. la pubblicità assumenva sempre maggiore importanza, prima nelle riviste e nei cartelloni pubblicitari per le strade, poi in televisione, oggetto che comincia proprio in questi anni ad essere presente in molte abitazioni private.
Lo stile di vita delle persone era molto migliorato rispetto ai decenni precedenti e questo benessere si sentiva in un clima generale di svago, divertimento, vacanze, automobili.. Insomma un clima dove il consumo diventava parola d'ordine.
La cultura anche si adattò a questo stile: deve essere a portata di tutti, il messaggio doveva essere semplice, intuibile con immediatezza, veloce. L'arte Pop è diventò lo specchio del campionario sociale, riuscendo a interpretare la caratteristiche della nuova società proprio perchè utilizzava il suo stesso linguaggio.

Andy Warhol, Automobile.




Andy Warhol's Bettle 'Lemon'







 In questo panorama emerse la figura di Andy Warhol, che utilizzò nuove tecniche artistiche, più vicine al mondo dei consumi di quanto non lo fossero le tele dipinte a olio del passato.
La serigrafia (di cui già nel post sull'invenzione della stampa) è la tecnica da lui prediletta, utilizzata nella maggior parte delle sue creazioni; queste sono caratterizzate dalla ripetizione dello stesso oggetto per un certo numero di volte, non solo nella stessa stampa, ma anche in tele differenti, con piccole variazioni, principalmente nei colori.
È questa la metafora della società dell'industria, della produzione in serie e del consumismo, dove le cose vengono prodotte in grandi quantità tutte uguali a se stesse, perdendo una propria unicità, diversamente da quanto accadeva nella società artigianale (su questo argomento si veda anche il post Tèchne e ars ).


Un esempio famoso di queste serigrafie sono i barattoli di zuppa Campbell's, un prodotto industriale tipico della nuova società moderna, in cui non c'è più tempo per cucinare piatti in casa:


Andy Warhol, Cambell's soup, 1968.

Oppure, la più celebre Coca Cola, un simbolo del periodo:

Andy Warhol, Bottiglie di Coca cola verdi, 1962.


 Ma Warhol va oltre al semplice aspetto “industriale” di oggetti della situazione portando la serializzazione anche sui visi delle persone famose, dallo star system come Marylin Monroe, Liz Taylor, Mao, Che Guevara, a Topolino.
Avere un ritratto proprio fatto da Andy Warhol nella sua Factory diventa una moda, un must, un oggetto di culto. Di questi personaggi Warhol riproduce solo il volto, senza paesaggio retrostante, poiché è l'immagine ciò che ormai conta nell'era del consumismo e i personaggi famosi sono diventati anch'essi degli oggetti di consumo.

Andy Warhol, Mickey Mouse, 1980.

Andy Warhol, Mao, 1964.


Andy Warhol, Marilyn, 1964.


La strada ferrata

Non solo il treno in sè, ma anche la ferrovia destò presto l'attenzione della gente comune e degli artisti, caricandosi di nuovi significati: simboli di progresso, testinomi dell'alto livello di tecnologia raggiunto nel periodo della Rivoluzione industriale, le strade ferrare sono anche i mezzi che permettono di raggiungere luoghi prima irraggiungibili.
 In particolar modo il ponte ferroviario testimonia la volontà dell'uomo di collegare posti che la natura aveva deciso di dividere.
 Grazie alla ferrovia, il mondo diventa più piccolo, più facilmente conoscibile.


Carlo Bossoli, Vedute dalla Torino-Genova, 1853.


Si può dire che la ferrovia Torino-Genova, è l'equivalente italiana della Manchester-Liverpool.
Il dipinto raffigura il maestoso ponte sullo Scriva vicino Prarolo, immortalato nel 1853 anno in cui risale la costruzione della linea Torino-Genova. Una ferrovia, questa, che nell’attraversare l’Appennino superava notevoli difficoltà, dati i tempi. Da Arquata a Genova ponti, gallerie e viadotti si susseguono.




Claude Monet, come molti pittori impressionisti, ha amato profondamente le novità del suo tempo e la ferrovia, indubbiamente, fu la principale novità e la grande avventura tecnica del XIX secolo. Per Monet, si trattava di inserire la frrovia nella visione “pastorale“ della pittura classica.
Claude Monet, Il treno nella campagna, 1870,



Questo quadro rappresenta una prateria, in primo piano, e una scarpata, caratterizzata da vegetazione rigogliosa, percorsa dalla ferrovia che chiude l’orizzonte e scompare nel fogliame degli alberi. Il treno è dolcemente inghiottito dalle foglie, sembra fondersi con la natura, la cui pace non viene disturbata dalla striscia di fumo che compare nel cielo.







  Si può notare che il treno sullo sfonso è costituito da piccoli vagoncini aperti, che trasportano dei passaggeri. Queste vetture dalla scarsa comodità venivano utilizzate su brevi percorsi ed erano poco apprezzate dai passeggeri a causa della polvere, dal fumo e della fuligine, che si riversavano loro addosso durante il viaggio. A partire dal 1880 queste vetture furono sostituite da altre più effecienti e comode, ma sarà quando il mondo industriale e della città moderna inzieranno a distruggere la calma della campagna.
Quindi, fino a metà Ottocento, nei paesaggi della periferia di Parigi erano ancora assenti i grandi segni dello sviluppo industriale e delle sue conseguenze ( tra cui la diffusone del treno per il trasporto merci). Fino ad quel momento, la ferrovia era considerata unicamente un mezzo di trasporto per spostarsi, magari la domenica, quando molte persone lasciavano Parigi per recarsi nei paesi vicini.

Impressionisti, quali Monet, Pissarro e Renoir, sono tutti pittori che amano dipingere la campagna e considerano il treno per allontanarsi da Parigi come testimone della trasformazione del paesaggio, di cui la ferrovia era ormai parte integrante.
 
Renoir, Il ponte ferroviario a Chatou, 1881

Nel quadro di Renoir la presenza della ferrovia è appena percettibile; sebbene sia il tema centrale dell'opera, come testimoniato dallo stesso titolo, qui il treno assume un ruolo marginale rispetto ad una natura rigogliosa, che arriva a cancellare l'azione dell'uomo. Come nel precedente quadro di Monet, il rumore e il fumo del nuovo mezzo non disturbano lo  stato idilliaco della natura. 
Lo stesso si può dire della seguente opera di Pissarro: anche qui natura e treno sono perfettamente in sintonia, anche se la vegetazione ha una parte meno rilevante.

File:Pissarro lordship.jpg
Camille Pissarro, Lordship Lane Station, 1871.


In conclusione, ripropongo in breve un quadro che mi sta a cuore e di cui ho già parlato nel post Se fosse... un quadro!, ovvero Pioggia, vapore e velocità di William Turner.

William Turner, Pioggia vapore e velocità, 1844.
E' immediatamente visibile la differenza tra la visione di Turner, che puo essere considerato un esponente del Romanticismo, e quella degli impressionisti francesi sopra proposti. Non c'è nulla di calmo, nulla di sereno; qui la natura scatena tutta la sua forza, quasi a voler dimostrare di essere più potenete dell'uomo che crede di poterla superare grazie alla tecnologia e al progresso, di cui il treno e il ponte ferroviario sono, nell'ambito della Rivoluzione industriale, due grandi simboli.

Un'interessante sito sulle strade ferrate d'Italia di ieri e di oggi si trova alla pagina www.lestradeferrate.it/

giovedì 6 giugno 2013

Il treno e l'arte

Da quando sono apparsi, ormai duecento anni fa, i treni sono considerati simboli di un progresso e di una tecnologia che guarda al futuro; da subito il treno si carica di valenze sentimentali e poetiche: nasce il mito del viaggio romantico,attraverso luoghi lontani e sconosciuti, che si possono raggiungere sono con questo nuovo misterioso mezzo di trasporto.Se si procede a ritroso nella storia dell'arte e della letteratura si possono rintracciare gli effetti emozionali che produsse la diffusione del treno e gli elementi che più stupirono le persone di allora (prima fra tutti la velocità).
Sin dalle prime locomotive a vapore, che fanno la loro comparsa intorno al 1830 in Inghilterra e negli Stati Uniti, il "mostro metallico" ha scatenato atteggiamenti o di aperta avversione o di smisurata meraviglia, che si sono protratti nel tempo.

La prima apparizione del treno in ambito artistico è Pioggia, vapore e velocità (1844) di William Turner di cui ho già trattato nei post Se fosse... un quadro!.
Turner fu poi seguito da pittori esponenti del Romanticismo e dell'Impressionismo (tra cui Monet e Renoir): queste due correnti guardavano al nuovo mezzo di trasporto come un simbolo del rapporto tra uomo e natura; inoltre, trovarono in esso un buon soggetto per utilizzare a pieno nuovi stili di pittura, per la resa del vapore, della velocità, del fumo. Bisogna infatti ricordare che, con la diffusione della fotografia da metà Ottocento, gli artisti dovettero trovare un nuovo modo per esprimersi, non cercano più di copiare la realtà con il pennello (ruolo destinato alla fotografia), ma di interpretarla, a modo loro. E' questo l'inizio del percorso che porterà gli artisti ad allontanarsi sempre più dalla rappresentazione del reale, per giungere alla pittura astratta.

Claude Monet, Il treno nella neve, 1875.



La totale affermazione del treno come soggetto artistico avvenne però con il Futurismo italiano, di cui ho già trattato nel post Il Futurismo e l'automobile.
Il treno, come già l'auto, la biciclette e poi l'aereo, sono strumenti meccanici ammirati e osannati per la loro forza e per bellezza delle linee e della struttura metallica; il treno, la città industriale, la stazione e lo sbuffare delle locomotive saranno elementi non solo presenti, ma rappresentativi, come dichiaravano le parole di Marinetti su Le figaro nel 1909:
noi canteremo […] le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavallini d’acciaio imbrigliati di tubi…


Fortunato Depero, Il treno partorito da sole, 1924.


L. Russolo, Dinamismo di un treno, 1912.
Umberto Boccioni, Gli addii, 1911.


Anche la pittura metafisica di De Chirico inserì spesso la sagoma inconfondibile di un treno in varie opere; esso è spesso collocato sullo sfondo, in dimensioni molto ridotte ma, nonostante ciò, non si può dire che occupi un posto poco rilevante.
Sulle locomotive come su vagoni non vi è traccia di vita, nessun passeggero, nessun macchinista a governare il vapore: statico, come le bandiere sulle costruzioni. I treni di De Chirico non hanno né origine, né meta, ma solo un valore simbolico: sono, come le ciminiere, le fabbriche, le baracche più anonime, emblemi del mondo moderno, familiare ma inquietante e inconoscibile.

Giogio De Chirico, Piazza d'Italia, 1962.

  Nei quadri di De Chirico è sempre presente qualcosa che evoca la presenza umana (un treno che transita, una costruzione che qualcuno deve aver costruito), ma tutto è svuotato della vita; anche il treno, che per altri era sinonimo di forza e velocità, qui è fermo come una statua.

Giorgio De Chirico, Piazza d'Italia, 1961.




giovedì 30 maggio 2013

La guerra che diventa arte


Pino Pascali, nato a Bari nel 1935 e morto a Roma nel 1968, si formò nell'ambito della cinematografia e della scenografia e trasportò queste sue competenze in ambito artistico, unite ad un’ironia sottile ma pungente; la sua produzione fu molteplice e passò dalla pittura alla scultura.

Abbracciando una posizione polemica contro l’infantilismo di ogni guerra, nel 1965 elaborò un ciclo di opere dedicate alle armi, che costruì con pezzi di ferraglia dismessa, assemblando residuati meccanici, tubi, carburatori Fiat, rottami, tutti uniformati dal colore mimetico e capaci di dare l’impressione di veri ordigni. Pascali ricostruì cannoni, bombe, mitragliatrici quasi in scala reale, ma inutilizzabili. E' il suo modo di ironizzare sulla guerra, di giocare ai soldatini: ci sono molte foto in cui l'artista, in perfetta tenuta militare, posa, con piglio imbronciato e serioso, ma con evidente ironia, vicino a queste grandi armi, le quali solitamente sono portatrici di morte, mentre qui diventano dei giocattoli di grandi dimensioni.


Pino Pascali, Natura morta (cannone semovente), 1965.


Decise di far diventare le armi degli 'oggetti d'arte, visto che la libertà di un artista consiste anche nello svincolare la forma dal contenuto. Le armi non sono più sinonimo di distruzione, si svuotano del loro significato e diventano qualcos’altro: un gioco, un’ironia, una presa in giro, come era stata, secondo l’artista, la guerra che aveva vissuto da bambino.


Pino Pascali, Missile colomba della pace, 1965.


Pascali mise così in crisi anche il linguaggio della scultura e vi introdusse il concetto dell’ambiguità: chi vede per la prima volta le sue creazioni è impaurito, non sapendo se possano far del male o se siano finte. La costruzione è certamente falsata in tutto: nell’estrema cura dei dettagli (improbabile caratteristica di armi reali), nelle dimensioni (il cannone è grande ma non a grandezza naturale), nella struttura, che sembra vera, ma in cui vi sono anche cartoni, metalli, pezzi di scarto e rifiuti. La guerra viene reinventata come a sottolineare che tutto è finto, tutto è un gioco, anche nell’arte.

 Per approfondimento, si visiti il sito della Fondazione Museo Pino Pascali.



Pino Pascali, Contraerea, 1965.

Pino Pascali, Mitragliatrice, 1965.