venerdì 12 aprile 2013

Cavallo di Troia: l'Eneide di Virgilio e il Satyricon di Petronio




Il Cavallo di Troia è probabilemente la più antica macchina di cui racconta la nostra letteratura, se si considera che la guerra che vide scontrarsi Achei e Troiani è databile al XIII secolo a.C..
Il Cavallo è un'invenzione del greco Odisseo (Ulisse per i Latini): cava all'interno, la macchina nasconde valorosi guerrieri achei, i quali, una volta che il Cavallo è fatto entrare in città come dono alla dea Minerva, nottetempo escono dal ventre, aprono le porte di Troia, permettendo così al resto dell'esercito di entrare in città, e sconfiggono definitivamente i Troiani.

La storia del cavallo di Troia non viene raccontata nell'Iliade di Omero, ma nell'Eneide (19 a.C.), poema epico di Virgilio, e successivamente ripresa, in senso più ironico, nel Satyricon (I secolo d.C.) di Petronio.
E' importante notare il lessico utilizzato dai due autori per indicare il Cavallo. Il termine latino usato è machina, il cui significato, se si cerca su un qualunque vocabolario latino, è di "ordigno, macchina da guerra, macchinazione, inganno, insidia"; mentre per noi "macchina" indica un qualunque congegno, che sia un'automobile o una macchina per cucire, per i Latini (è ugualmente per i Greci che utilizzavano la parola
mhcanh) questa parola ha un significato negativo, di frode e di trucco, è qualcosa che si fa di nascosto e che non si rivela all'avversario, come può essere un'arma da assedio o un cavallo fatto passare per dono votivo, ma pieno di soldati, per l'appunto.
Il termine latino che, invece, indica la macchina nel senso da noi inteso è ingenium che, infatti, cercato sul dizionario, significa "ingegno, intelligenza, capacità, cosa fatta con ingegno, cosa geniale, ispirazione, invenzione"; per i Latini è l'ingenium che caratterizza gli architetti, i costruttori di ponti e strade, ed è l'ingenium che sta alla radice del termine ingegnere.


Il Cavallo costruito per la produzione del film Troy e poi donato alla città 



Di seguito riporto i brani dell'Eneide e del Satyricon in cui si parla della machina del Cavallo di Troia; ho evidenziato i termini che rimandano a quanto ho spiegato sopra.

I capi greci, prostrati dalla guerra e respinti dai Fati
dopo tanti e tanti anni, con l'aiuto di Pallade
fabbricano un cavallo simile a una montagna,
ne connettono i fianchi di tavole d'abete,
fingendo che sia un voto (così si dice in giro)
per un felice ritorno. Di nascosto, nel fianco
oscuro del cavallo fanno entrare sceltissimi
guerrieri, tratti a sorte, riempiendo di una squadra
in armi la profonda cavità del suo ventre.
[...] Noi pensammo che fossero andati via
salpando verso Micene col favore del vento.
E subito tutta la Troade esce dal lungo lutto.
[...]Alcuni stupefatti osservano il fatale
regalo della vergine Minerva ed ammirano
la mole del cavallo; Timete per primo
ci esorta a condurlo entro le mura e a porlo
sull'alto della rocca, sia per tradirci, sia
perché le sorti di Troia volevano così.
Invece Capi ed altri con più accorto giudizio
chiedono che quel dono insidioso dei Greci
sia gettato nel mare od arso, e che i suoi fianchi
siano squarciati e il suo ventre sondato in profondità.
La folla si divide tra i due opposti pareri.
Allora, accompagnato da gran gente, furioso,
Laocoonte discende dall'alto della rocca
e grida da lontano: "Miseri cittadini,
quale follia è la vostra? Credete che i nemici
sian partiti davvero e che i doni dei Greci
non celino un inganno? Non conoscete Ulisse?
O gli Achivi si celano in questo cavo legno,
o la macchina è fatta per spiare oltre i muri
e le difese fin dentro le nostre case e piombare
dall'alto sulla città, o c'è sotto qualche altra
diavoleria: diffidate del cavallo, o Troiani,
sia quel che sia! Temo i Greci, anche se portano doni."
Così detto scagliò con molta forza la grande
lancia nel ventre ricurvo del cavallo di legno.
L'asta s'infisse oscillando, le vuote cavità
del fianco percosso mandarono un gemito
rimbombando. Ah, se i Fati non fossero stati
contrari e le nostre menti accecate Laocoonte
ci avrebbe convinto a distruggere il covo
dei Greci; e tu ora, Troia, saresti ancora in piedi
e tu, rocca di Priamo, ti leveresti in alto.

 Virgilio, Eneide 2,14- 56, trad. M. Ramous.


La processione del Cavallo di Troia, Tiepolo, 1740 circa.

[parla Eumolpo] Ma siccome ti vedo tutto concentrato su quel
quadro con la presa di Troia, cercherò di spiegartene il soggetto in versi: 
Già la decima estate assediava i mesti e incerti Frigi
e il nero dubbio invadeva la fede del vate Calcante,
quando al responso di Apollo crollano recise le vette
dell'Ida, cadono i tronchi tagliati gli uni sugli altri,
e già danno forma a un cavallo minaccioso. Nel vasto fianco
si apre uno squarcio di caverna che dentro nasconde
uno stuolo agguerrito d'armati. Lì s'annida un valore infuriato da
un decennio di guerra, e i Danai stipati
si celano in quel dono votivo. O patria! Noi credemmo in fuga
le mille navi e libero il suolo patrio dalla guerra.
Questo trovammo inciso sulla bestia, questo affermò
Sinone pronto al destino, possente menzogna verso il baratro.
Sciama a frotte dalle porte la gente, a offrire voti
credendo finita la guerra. Rigano i volti le lacrime,
è un pianto di gioia che invade gli animi ancora in subbuglio.
Ma nuovo timore le caccia. Capelli sciolti al vento,
Laocoonte ministro di Nettuno fende urlando la folla,
vibra la lancia, la scaglia nel ventre del mostro,
ma il volere dei numi gli fa debole il braccio,
e il colpo rimbalza attutito, e dà credito all'inganno.
Ma ancora egli chiede vigore alla mano spossata
e saggia con l'ascia i concavi fianchi. Trasalgono
i giovani chiusi nel ventre panciuto, e al lorosussurro
la mole di quercia palpita d'estranea angoscia.
Quei giovani presi andavano a prendere Troia,
finendo per sempre la guerra con frode inuaudita.

 Petronio, Satyricon, capitolo 89, trad. G. Reverdito.

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