lunedì 20 maggio 2013

Il Futurismo e l'automobile


Lo spirito del Futurismo è profondamente legato alla tecnologia e al suo progresso; nacque come movimento letterario per opera di Filippo Tommaso Marinetti, per poi passare alla arti figurative, i cui esponenti principali sono Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà.


Il Manifesto del Futurismo scritto da Filippo Tommaso Marinetti, pubblicato il 20/2/1909 sul Le Figaro di Parigi, esprime appieno tutti i principi del movimento:  mito della guerra, della velocità, dell’elettricità, della città moderna e dinamica, rifiuto dell’antichità e del passato, orrore per il “passatismo” culturale.


Umberto Boccioni, Automobile, 1904
 
 

Il Futurismo è l’Avanguardia della tecnologia, della scienza, del progresso e della sua esaltazione, fino ai massimi livelli.  Icona indiscussa per poeti e artisti è stata l’automobile, ispiratrice del movimento stesso e protagonista del Manifesto sopra citato. Qui Marinetti con toni epici narra, infatti, di una sfrenata corsa in auto, terminata con una caduta in un fosso fangoso;  Marinetti ricoperto di fango, l’automobile rovesciata, una scena che per noi potrebbe risultare comica, ma che qui viene esaltata come momento glorioso:


Poi il silenzio divenne più cupo. Ma mentre ascoltavamo l'estenuato borbottio, di preghiere del vecchio canale e lo scricchiolar dell'ossa dei palazzi moribondi sulle loro barbe di umida verdura, noi udimmo subitamente ruggire sotto le finestre gli automobili famelici.
[…] Ci avvicinammo alle tre belve sbuffanti, per palparne amorosamente i torridi petti. lo mi stesi sulla mia macchina come un cadavere nella bara, ma subito risuscitai sotto il volante, lama di ghigliottina che minacciava il mio stomaco.
La furente scopa della pazzia ci strappò a noi stessi e ci cacciò attraverso le vie, scoscese e profonde come letti di torrenti. Qua e là una lampada malata, dietro i vetri d'una finestra, c'insegnava a disprezzare la fallace matematica dei nostri occhi perituri.
Io gridai: «Il fiuto, il fiuto solo, basta alle belve
E noi, come giovani leoni, inseguivamo la Morte, dal pelame nero maculato di pallide croci, che correva via pel vasto cielo violaceo, vivo e palpitante.
[…] E noi correvamo schiacciando su le soglie delle case i cani da guardia che si arrotondavano, sotto i nostri pneumatici scottanti, come solini sotto il ferro da stirare. La Morte, addomesticata, mi sorpassava ad ogni svolto, per porgermi la zampa con grazia, e a quando a quando si stendeva a terra con un rumore di mascelle stridenti, mandandomi, da ogni pozzanghera, sguardi vellutati e carezzevoli.
[…] Avevo appena pronunziate queste parole, quando girai bruscamente su me stesso, con la stessa ebrietà folle dei cani che voglion mordersi la coda, ed ecco ad un tratto venirmi incontro due ciclisti, che mi diedero torto, titubando davanti a me come due ragionamenti, entrambi persuasivi e nondimeno contradittorii. Il loro stupido dilemma discuteva sul mio terreno... Che noia! Auff!... Tagliai corto, e, pel disgusto, mi scaraventai colle ruote all'aria in un fossato...
Oh! materno fossato, quasi pieno di un'acqua fangosa! Bel fossato d'officina! lo gustai avidamente la tua melma fortificante, che mi ricordò la santa mammella nera della mia nutrice sudanese... Quando mi sollevai - cencio sozzo e puzzolente - di sotto la macchina capovolta, io mi sentii attraversare il cuore, deliziosamente, dal ferro arroventato della gioia!
Una folla di pescatori armati di lenza e di naturalisti podagrosi tumultuava già intorno al prodigio. Con cura paziente e meticolosa, quella gente dispose alte armature ed enormi reti di ferro per pescare il mio automobile, simile ad un gran pescecane arenato. La macchina emerse lentamente dal fosso, abbandonando nel fondo, come squame, la sua pesante carrozzeria di buon senso e le sue morbide imbottiture di comodità.
Credevano che fosse morto, il mio bel pescecane, ma una mia carezza bastò a rianimarlo, ed eccolo risuscitato, eccolo in corsa, di nuovo, sulle sue pinne possenti!
Allora, col volto coperto della buona melma delle officine - impasto di scorie metalliche, di sudori inutili, di fuliggini celesti - noi, contusi e fasciate le braccia ma impavidi, dettammo le nostre prime volontà a tutti gli uomini vivi della terra.


Giacomo Balla, Velocità d'automobile, 1912.


Giacomo Balla, Velocità d'automobile n1, 1913.
4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.         
dal Manifesto del Futurismo.

 






Giacomo Balla, Velocità d'automobile e luci, 1913.

In ambito futurista la macchina è un simbolo quasi mistico, nuovo centauro che riassume in sé i tomi eroici che un tempo venivano rivolti ai cavalli  coinvolti in battaglie epiche, degne dell’Iliade. Nel Manifesto, ad essa vengono riferiti termini come: Centauro, belva sbuffante, automobile famelica, pescecane; tutti simboli di forza, potenza e invincibilità. Di essa vengono esaltate le componenti, come il volante e i pneumatici, con particolare enfasi sulle parti metalliche ("scorie metalliche"), sul loro calore ("ferro arroventato della gioia"), che vengono accostate ad animali o a parti di essi. Per i futuristi, l'artificiale, ciò che è creato dall'uomo, prende il posto del naturale, elemento tipico del mondo antico, troppo diverso da un mondo moderno veloce, dinamico e in continua crescita, come rappresentato dal quadro La città che sale di Umberto Boccioni.

Umberto Boccioni, La città che sale, 1910.


Le parole del Futurismo sono tra le più forti mai usate per un movimento artistico; insieme a quelle sopra citate, l'esaltazione della velocità, della forza, della dinamicità, portano ad innalzare come ideali anche la lotta e la guerra; tra le righe del manifesto si leggono infatti frasi come:

7. Non v'è più bellezza, se non nella lotta. 
 9. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.

Di fronte a tali espressioni, verrebbe da pensare che i futuristi fossero degli "esaltati", assetati di sangue, forse; personalmente penso che siano stati gli interpreti del sentimento generale dell'epoca. Le molte innovazione tecnologiche di fine Ottocento e inizio Novecento, convinsero le persone di trovarsi all'apogeo del progresso, di essere già nel futuro e di poter sfogare tutta la potenza acquisita con la scienza. I futuristi rappresentarono nell'arte lo stato d'animo dei popoli, quegli stessi popoli che nei primi anni del Novecento lasciarono, più o meno consapevolmente, che nascessero in tutta Europa regimi autoritari e dittatoriali, responsabili di grandi atrocità.
Dopo la battaglia di Sedan del 1870, l'Europa aveva attraversato un periodo di pace e equilibrio politico; la generazione cresciuta in quegli anni non aveva idea degli orrori della guerra, che era vissuta in senso romantico e patriottico, astratto. Quando nel 1914 si aprì lo scenario della Grande Guerra, lo spirito futurista ne fu, in molti sensi, una vittima. I ragazzi, entusiasti per le tecnologie avanzate, i loro materiali metallici, la loro potenza, andarono a sfidare impavidi una morte di cui in realtà non conoscevano il significato. molti dei primi futuristi morirono, altri subirono grandi traumi psicologici (Gillo Dorfles). I componenti del movimento furono poi tra i sostenitori del Fascismo e appoggiarono la Seconda guerra mondiale, anche per questo aspetto bisogna chiedersi se furono gli iniziatori di idee nazionalistiche e violente del regime di Mussolini o solo dei rappresentanti, specchi di un'intera società. Infatti, come sostiene lo studioso Gillo Dorfles, dopo la fine della Grande Guerra, la carica rivoluzionaria e creativa del movimento subì un radicale rallentamento, dovuto anche al modificarsi della situazione e alle mutate condizioni politiche; da quando prese il potere, il Fascismo cercò di limitarne la forza, tollerò il movimento ma non lo promosse mai, intimorito dall'importanza che esso dava alla rivolta e all'anarchia.


Gerardo Dottori, A 300 km sulla città, 1934.







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